All’intervista risponde Diego Bolognese che, con Claudio D’Auria e Salvatore Vescina, è autore dell’Osservatorio 2020 sui confidi pubblicato da Torino Finanza.
Il gruppo di Torino Finanza ha recentemente presentato il rapporto annuale sul sistema dei confidi. A che punto siamo?
Siamo a un punto critico, molto critico, anzitutto per le micro-piccole imprese e, di riflesso, per il sistema dei Confidi. Gli Accordi di Basilea, l’affermarsi di modelli di valutazione basati su algoritmi e database e più in generale l’impiego pervasivo delle tecnologie digitali, la riforma delle BCC, sono tra i principali driver che hanno molto cambiato il modo di fare banca, riducendo la propensione a concedere credito alle imprese più piccole. Tra il 2012 e il 2019 gli impieghi vivi nelle imprese con meno di 20 addetti si sono sempre e solo ridotti, cumulativamente di circa il 30 per cento. Per alcuni settori la diminuzione è stata ancora più severa. Ad esempio, le imprese artigiane strutturate, quelle con più di cinque addetti, hanno perso circa la metà del volume di credito concesso loro dal sistema bancario.
La garanzia è un servizio ancillare al credito. Le dinamiche di mercato che abbiamo appena descritto si sono riflesse sui confidi che, nel 2012, accordavano garanzie per 22 miliardi e nel 2018 per 12,5. Da qualche anno le risorse che, una volta pagate le escussioni, rientrano nelle disponibilità dei confidi, solo in parte vengono utilizzate per nuove garanzie. Così i confidi risultano molto ben patrimonializzati rispetto ai rischi che garantiscono. Tuttavia, il basso volume di attività fa sì che i costi superino i ricavi. Questo porta il sistema all’autoconsunzione: le perdite di esercizio erodono il patrimonio.
Il Fondo Centrale di garanzia e Sace, anche in virtù del Decreto Liquidità, hanno assunto un ruolo centrale nel facilitare l’accesso al credito da parte delle aziende. Alla luce di questa evoluzione normativa, i confidi hanno ancora motivo di esistere?
Gran parte delle misure adottate dal governo nel contesto della crisi Covid-19 perseguono l’obiettivo di rispondere in tempi brevi ai bisogni delle imprese, soprattutto di quelle più strutturate. Molte misure sono temporanee, salvo proroghe. Ciò detto, alcune di queste hanno anche l’effetto di spiazzare la garanzia dei confidi senza necessariamente tradursi in credito aggiuntivo per le micro-piccole imprese che, se erano razionate prima della crisi, immaginiamo lo saranno ancora di più durante e dopo la crisi. Le misure di intervento governative, in particolare, hanno innalzato l’importo garantibile da 2,5 a 5 milioni e, dando assicurazioni in misura sempre molto elevata a prescindere dalla rischiosità, ci pare assecondino la propensione delle banche a dare credito soprattutto alle imprese più strutturate.
Nel corso della presentazione del Rapporto, è stata avanzata anche una “proposta di legge”. Avete intenzione di proporla ai nostri rappresentanti in Parlamento?
Ogni anno, con il nostro lavoro, condividiamo con gli stakeholder e i policy maker spunti di riflessione sulle politiche pubbliche. Lo facciamo nel modo più equilibrato possibile, cercando margini di miglioramento nell’interesse collettivo. Non siamo una lobby e quindi ci limitiamo a offrire un contributo di idee. Più volte è accaduto che altri abbiano valorizzato il nostro lavoro, migliorandolo e traducendolo in norme. Ci auguriamo accada ancora, soprattutto per questa proposta che, alla luce della crisi, ha carattere urgente.
Ci può spiegare i punti salienti della proposta?
Per risponderle citerei anzitutto un estratto dall’intervento di Mario Draghi pubblicato sul Financial Times il 25 marzo scorso: ”Pur avendo i diversi Paesi europei strutture industriali e finanziarie differenti, l’unica strada efficace per raggiungere immediatamente ogni piega dell’economia è quella di mobilitare pienamente i loro interi sistemi finanziari“. Tratto peculiare dell’Italia è che le micro e piccole imprese (MPI) con meno di 20 addetti rappresentano, per numero, il 98,2% delle imprese e impiegano il 45% degli occupati. Ma, come è lapalissiano dai dati pubblicati da Banca d’Italia (ad esempio nei Rapporti semestrali sulla stabilità finanziaria), già prima della crisi queste imprese subivano un significativo razionamento del credito che di certo non giova alla tenuta e alla ripresa economica e sociale del Paese. Dalla nostra analisi sui bilanci dei confidi vigilati (che detengono i 2/3 delle garanzie) emerge che questi intermediari dispongono di più di 650 milioni di euro di Fondi Propri liberi e più di 1,3 miliardi di euro di Attività Liquide Nette. Si tratta di risorse che possono produrre un significativo effetto leva sui finanziamenti alle imprese.Visto che la garanzia dei confidi è un prodotto che – per i mutamenti intervenuti sul modello di business delle banche – non fa più la differenza, la nostra idea è quella di ampliare i perimetri di mercato dei confidi ad altri servizi, soprattutto all’erogazione diretta del credito e alla consulenza “connessa”, quella utile non solo ad accrescerne la sostenibilità economica, ma anche ridurre le asimmetrie informative.
Non ipotizziamo un ampliamento sic et simpliciter del perimetro di mercato dei confidi. La nostra proposta è ancorata ai principi di proporzionalità e adeguatezza. Questo vuol dire che gli organi di vigilanza – Banca d’Italia per i confidi maggiori e l’Organismo di cui all’art. 112 bis del TUB per i confidi minori – potranno concedere l’autorizzazione allo svolgimento di attività diverse da quelle oggi consentite, solo previa verifica di specifiche condizioni abilitanti (di governance, professionalità, solidità patrimoniale, ecc.) Abbiamo quindi previsto che tali condizioni abilitanti siano via via più severe al crescere della complessità/rilevanza delle attività aggiuntive.
I confidi vigilati già ora possono offrire finanziamenti alle imprese. Per i confidi minori sarebbe una assoluta novità. Pensate che siano attrezzati per farlo?
Vale quanto appena detto. Tra i confidi minori vi è molta varianza sul piano dimensionale, organizzativo, patrimoniale. Vi sono confidi che addirittura non hanno dipendenti e altri, soprattutto tra quelli un tempo vigilati da Banca d’Italia, attrezzati per il credito diretto. Ricordiamo anche che la soglia dei 150 milioni di attività che distingue i confidi maggiori dai minori, che un tempo era di 75 milioni, non è scolpita nella pietra. Potrebbe benissimo essere modificata. Se questo avvenisse oggi, a regole date, i confidi sotto la soglia si gioverebbero di regole di compliance meno onerose ma si ritroverebbero nell’impossibilità di raggiungere l’equilibrio tra costi e ricavi visto che le garanzie (il solo prodotto sostanzialmente consentito ai confidi minori) sono poco appealing per il sistema bancario. Invece la nostra proposta, prevedendo requisiti via via più stringenti in funzione delle dimensioni e delle attività svolte, rende sostenibile l’attività dei confidi e affronta – dando sostanza al principio di proporzionalità – anche la questione del differenziale competitivo e del rischio di fenomeni di arbitraggio sulle regole tra confidi maggiori e minori.
Per i confidi vorrebbe dire cambiare pelle. Sono nati per fare garanzie mutualistiche. Andando sul mercato a offrire consulenza e finanziamenti non rischiano di essere schiacciati da quei soggetti che fanno questo di mestiere? I confidi non possono fare raccolta di capitali. Chi glieli dovrebbe fornire e perché?
Per quanto attiene ai servizi di consulenza ci sembra probabile che i confidi possano trovare accordi e sinergie, oltre che con professionisti e società già attivi sul mercato, anche e soprattutto con le associazioni imprenditoriali cui molti di loro sono ancora connessi (ancor di più tra i minori).
Per quanto attiene alla erogazione dei finanziamenti il senso della proposta è di potenziare un canale di finanziamento per le micro e piccole imprese, visto lo squilibrio tra domanda e offerta dovuto a fattori strutturali che rendono questo un business poco interessante per le banche. I confidi, che hanno un costo del lavoro più basso rispetto alle banche, non fanno raccolta e quindi hanno bisogno di provvista. Dal momento che i confidi vigilati già erogano prestiti (entro limiti che riteniamo troppo stringenti), abbiamo evidenza del fatto che questa viene fornita talvolta da Enti pubblici (soprattutto Regioni) e talvolta dalle banche, ovviamente a tassi di mercato e, altrettanto ovviamente, solo ai confidi ritenuti solidi e capaci. Ricordiamo, poi, che le operazioni finanziate dai confidi possono beneficiare della “garanzia diretta” del Fondo di garanzia per le PMI. Quindi è ben possibile un gioco win-win tra banche, confidi e imprese.
Come fa una banca o un soggetto pubblico a valutare l’affidabilità di un confidi minore? O ribaltando la prospettiva: come fa un confidi minore ad accreditarsi come interlocutore credibile?
Fino a pochi anni fa questo problema si risolveva nella relazione fiduciaria tra banche locali e confidi, spesso rafforzata dal fatto che il confidi depositava presso la banca convenzionata i propri fondi a tutela del rischio di credito. Vi è stato un forte miglioramento della situazione. Nel 2016 Banca d’Italia, anche recependo alcuni suggerimenti del nostro gruppo di lavoro, ha varato nuovi schemi di bilancio che rendono molto più facile valutare i fondamentali dei confidi sia per i confidi minori che per i maggiori. Oggi possiamo quindi conoscere stock e flussi garantiti, settori merceologici e ripartizione territoriale delle imprese garantite, flussi di crediti in sofferenza e molto altro ancora. In una precedente edizione del nostro Rapporto annuale abbiamo proposto di valorizzare queste informazioni in un set di indicatori, utili a monitorare grandezze chiave per un assessment dei confidi come, ad esempio, la solidità economica e patrimoniale e l’efficacia dei processi di selezione dei prenditori. Tale sistema di valutazione è stato poi meglio messo a punto nelle disposizioni operative del Fondo di Garanzia per le PMI per identificare i “soggetti garanti autorizzati” cui, in virtù della loro affidabilità, il Fondo assicura una serie di trattamenti preferenziali. Nell’Osservatorio di quest’anno abbiamo utilizzato questi indicatori per “leggere” ciascun singolo confidi vigilato. Completa il quadro l’iscrizione all’elenco previsto dall’articolo 112 del TUB, che avverrà come noto entro la fine dell’anno e, quindi, la sottoposizione dei confidi minori alla vigilanza permanente sui requisiti di legge (con tanto di ispezioni ed eventuali sanzioni, inclusa la cancellazione) affidata all’Organismo di cui all’art.122 bis, una sorta di Autority indipendente dai confidi (a sua volta vigilata da Banca d’Italia).
Nel caso in cui la vostra proposta venisse applicata, che ruolo potrebbe/dovrebbe giocare l’Organismo previsto dall’art. 112 bis del TUB che, da quest’anno, deve gestire l’Elenco dei confidi minori e controllare il rispetto delle “regole”? Questo non significa cambiare le regole di ingaggio anche per l’Organismo?
A mio avviso se la nostra proposta diventasse norma cambierebbe di poco sia la mission, sia la struttura dell’Organismo. Anzi, mi faccia dire che ne rafforzerebbe il senso. Mi spiego meglio: dobbiamo ricordarci che i costi di funzionamento dell’Organismo sono imputati per intero ai confidi che lo stesso vigila. Se a fronte di un maggior controllo svolto dall’Organismo indipendente, esteso ad aspetti fondanti della gestione come la solidità patrimoniale e l’efficacia dei processi di selezione dei rischi, venisse concesso ai confidi – che soddisfano determinate condizioni abilitanti, di svolgere attività a più elevato valore aggiunto, allora questo darebbe senso ai maggiori costi previsti rispetto al sistema previgente (ossia il sistema senza l’Organismo e senza i relativi costi). In sintesi, controllo e perimetro di attività ci sembrano i due termini di un binomio. Se si rafforza il primo ha senso ampliare il secondo.
Torino Finanza è un gruppo nato nell’ambito della Camera di commercio di Torino. Che ruolo potrebbe giocare il sistema camerale in questa ennesima fase di transizione per i confidi?
Storicamente il sistema camerale è un grande sponsor del sistema dei confidi. Anche in senso finanziario finché non è intervenuta la riforma che ha dimezzato le entrate delle Camere di Commercio. Il supporto oggi può essere più istituzionale, anche con apporti finanziari modesti ma ben mirati.
Mi faccia fare qualche esempio.
- Come lei ha appena evidenziato, l’Osservatorio sui confidi di Torino Finanza esiste perché la Camera di Commercio di Torino si fa carico dei suoi costi.
- Unioncamere ha sponsorizzato il progetto dell’Associazione XBRL per lo sviluppo di una tassonomia e di un applicativo per consentire ai confidi di produrre il proprio bilancio in formato elettronico elaborabile. Questo progetto aumenta la trasparenza per i confidi e abbatte i costi di vigilanza dell’Organismo ex 112 bis;
- Unioncamere e/o singole Camere potrebbero assumere la veste di Enti sostenitori dell’Organismo 112 bis TUB, abbattendo i costi per i confidi e offrendo il loro apporto alla governance;
- Unioncamere e/o gruppi di Camere potrebbero supportare, anche con report e studi, lo Stato e le Regioni quando questi si accingono a varare misure di policy per il credito delle micro e piccole imprese.
Insomma è una costante…quando le risorse finanziarie scarseggiano occorre mettere a punto qualche buona idea per valorizzare al massimo le disponibilità…
Intervista del 5 maggio 2020